meditazione zen Vicenza

Vita del sangha

Questa sezione riporta momenti della vita e della pratica quotidiana del sangha e i teisho, discorsi del dharma ed esposizioni dell'insegnamento che hanno luogo nel corso della seduta di zazen.

Teisho

Non fatevi illusioni

Una storiella Ch'an.

Ambientazione consueta. Monastero con centinaia di monaci. Montagna selvaggia. Un giorno, preoccupato per il morale della truppa, lo shusso si decide e va nella camera del vecchio maestro. Bussa, ma nessuno risponde. Bussa ancora... Poi, discretamente scosta la porta della camera. Il maestro è seduto davanti alla finestra aperta, immobile. Da dietro, non si capisce se è morto, sveglio o semplicemente assorto. Maestro..., fa lo shusso. E quello, senza muoversi, gli fa cenno con la mano di avvicinarsi... Guarda..., gli dice. E quello guarda, ma non vede altro che il consueto giardino e, oltre, la cima delle montagne... Che volevi?, fa il maestro, che ha subito inteso come il discepolo non veda. Ah, sì... risponde lo shusso, come per un attimo si fosse perso anche lui.  Sono preoccupato, maestro...   Preoccupato?   Sì, maestro. I tuoi discepoli non sanno  che  pensare,  sembrano disorientati...  Disorientati?  Sì.  Si chiedono come mai non tieni più un discorso di dharma. È passato tanto tempo dall'ultimo, a dire il vero molto stringato... Ah, fa il maestro. Sì, fa lo shusso. Silenzio. Poi il maestro, sempre guardando fuori dalla finestra, dice, Va bene, amico mio, oggi terrò loro un discorso. Sollevato, lo shusso si inchina e corre a dare l'annuncio.

All'ora concordata, in una sala del dharma stracolma, arriva il maestro che, senza guardare nessuno, sale sulla pedana e si siede. Attende che lo shusso offra l'incenso sull'altare. Sistema il kesa sulle spalle, poi dice: Cari fratelli... e solo ora volge lo sguardo sulla sala. Cari fratelli... Li vede tutti. Li conosce tutti. Li ama tutti. Cari fratelli... Non fatevi illusioni! Dopodiché si alza, scoppia in una grande risata e se ne va. Esattamente quanto aveva detto e fatto nell'ultima occasione.

Non fatevi illusioni! Su di voi, su di me, sul Buddha, sulla pratica, zazen, l'illuminazione... Non caricatevi sulle spalle un carico che non vi serve e andate leggeri, liberi.


Niente di quel che pensiamo o ascoltiamo è veramente importante; niente, tranne venire qui e sedere; venire alla sesshin e praticare. Praticate-e-basta. Senza sapere, senza capire nemmeno perché lo fate.

 

Ora, cercate di capire. Perché mai niente di quanto pensiamo è importante? Finché ci sarete voi a pensare voi stessi, non riuscirete. Così, se vi sfioro - e vi sfioro apposta -, subito fate il broncio. Se faccio qualcosa che non vi piace, vi irrigidite. L'ho già detto più volte. E allora? Allora provate ad essere com'è Buddha e come sono stati i Patriarchi: Nessuno! Toc, toc... C'è qualcuno in casa? Non c'è nessuno lì nella capoccia e perciò mai niente da difendere. Chi potrebbe mai risentirsi? Liberi. Finalmente liberi da se stessi.

 

Imperatore Wu: Chi sei? 
Bodhidharma: Non lo conosco.

 

Oppure. Vi ho consigliato un libro per la sesshin di Aprile. E lì trovo così: Una volta Maezumi Roshi e io stavamo viaggiando su un treno ad alta velocità in Giappone. Roshi sedeva vicino a me, e di fronte avevamo una coppia.  Il marito era membro del direttivo dello Zen Center di Los Angeles... La moglie non era una praticante zen. Mentre stavamo chiacchierando, la donna guardò Roshi e disse: “Tra tutte le persone che conosco, lei è probabilmente quella che si trova più a suo agio nel non sapere chi è”. 1

Ma... E invece ancora moraleggianti e abbarbicati al pensiero di se stessi. Troppo educati; quando la grande Via è barbara. Meravigliosamente barbara.

Poi... Poi di illusioni ce ne facciamo di continuo. Soffriamo, a volte, per pensieri persistenti; costruiamo trappole perfette nelle quali ci lasciamo cadere avvitandoci come turaccioli; diventiamo pallidi, senza forze... Finché, colpo d'ala, di tutto questo colpevolizziamo l'universo mondo, quando - Non fatevi illusioni! - abbiamo fatto tutto da soli. Ecco perché il vecchio Patriarca si limitava a richiamare così.

 

Il problema, difatti - come dovremmo sapere -, non è l'illusione in sé, che è santa come ogni altra cosa (samsara- eppure-nirvana. Nishitani); il problema è non vedere l'illusione in quanto illusione. 

Visto questo, visto così, ci diventa possibile lasciare il vecchio maestro davanti alla sua finestra... Lo vedete? Sembra un bambino occupatissimo a giocare con un filo d'erba... 

Ah, che meraviglia! 

 

Vicenza, 14 Marzo 2023 

Salvatore Shogaku Sottile


NOTE

1.  Dennis Genpo Merzel, Se l'occhio non dorme, Ubaldini 1993, pag. 45

Centro zen Vicenza

All'inizio...

Qualcuno di voi, giovedì scorso 29 Settembre, alla fine della seduta e della pasticceria ormai quasi regolamentare, mi ha detto due cose interessanti.
Mi ha detto (1°) che la nostra pratica è, al tempo stesso, difficilissima e facilissima.
E mi ha detto (2°) che non vorrebbe sentirsi dire come va a finire, perché intende scoprirlo da solo.
Trattandosi di un principiante, si tratta di due questioni notevoli che potranno essere utili a tutti. Tanto che, qui, ne discuteremo.
Sulla prima questione (dando per inteso che il difficile è riferito alla postura e il facile all'approccio scevro da sovrastrutture della nostra pratica) direi così: che è vero ma che non è tutto. Certo, il principiante si trova ad affrontare l'inferno, sulle prime; sedere non è proprio un pranzo di gala, come si diceva a proposito della rivoluzione, per quanti hanno la mia età.
Pure, proprio questo - e a patto che ciò non provochi un abbandono, proprio qui, dico proprio in questa primissima fase,  sta il momento che deciderà tutto. Tanto che (per qualche ragione che non è possibile individuare in quanto destinale, qualcuno direbbe karmico) se qui non desiste, il praticante troverà la via d'uscita. Che, semplicemente, consiste nell'intuire che occorre puntare avanti, al di là della difficoltà, mirando oltre, oltre... Gyate, gyate... Guarda caso, la fine del nostro amato sutra Maka Hannya...
Esattamente il contrario, perciò, del rannicchiarsi nel disagio e nel lottare per sopportarlo; e ciò è possibile se attraversiamo il disagio stesso da parte a parte, senza evitarlo bensì – scandalo! - abbracciandolo. Come? Non c'è la ricetta. C'è solo un'attitudine, un'indicazione. È là che bisogna arrivare. Cioè qui, qui seduti quietamente e fortemente dinnanzi ad un muro.
È come coi demoni. Ne abbiamo parlato spesso, in questi anni. Davanti ai demoni che, caparbiamente, ci fanno visita, non serve fuggire; la nostra paura è il loro carburante. Quel che serve, quel che ne mostra la loro reale natura di fumo, è - abbracciandoli - invitarli a sedere con noi sul cuscino nero, tenendoli stretti. Hanno paura anche loro!
In questi frangenti, nel nostro sedere da principianti, è d'aiuto portare l'attenzione nell'hara, tre-dita-sotto-l'ombelico, come diciamo spesso a proposito del punto d'equilibrio di corpo-mente-cuore. Zazen. 
Potrà essere utile - in questa e soltanto in questa fase -produrre una visualizzazione. Dopo essersi seduti, sistemata la postura, chiudere gli occhi e trasferire il naso dalla sua consueta posizione lì, tre-dita-sotto-l'ombelico. E da lì respirare! Sarà il respiro a risolvere l'impasse. Il disagio non scomparirà mai del tutto, ma non disturberà oltremodo. Da acerrimi nemici a conoscenti. E non si lotterà più.
E siamo alla seconda questione: Non dirmi come va a finire perché voglio scoprirlo da solo.
Shakyamuni, detto il Buddha, in inizio di predicazione, a quanti gli chiedevano cosa insegnasse, rispondeva: Venite a vedere! È, perciò, da considerarsi un buon atteggiamento quello di porsi come uno sperimentatore, qualcuno cioè che, per proprio conto, intende scoprire cosa produce la pratica della grande Via.
Detto questo, va subito dichiarato un rischio assai presente in questo per proprio conto; un rischio che ha per nome solipsismo, individualismo; l'atteggiamento di quanti, cioè, pur  percorrendo sentieri e pratiche comunitarie, si tengono da parte, manifestando così, che lo si sappia o meno, quell'alterigia e quella superbia tipica del tipo di umano delle nostre latitudini.

La soluzione, naturalmente, sta nell'armonizzare i due aspetti. Da un lato, non è possibile prescindere dal fatto che la pratica si incide sulla mia carne, e non su quella degli altri; dall'altro, non c'è mai, veramente e in ultima analisi, mia e altri (Nota 1)

Come abbiamo voluto mettere nella home del nostro sito, tutto questo è detto così: Come alberi stiamo in piedi da soli; e come alberi godiamo di essere foresta!
E qui la questione si fa delicata, soprattutto nell'ottica del principiante; giacché se non c'è alcun dubbio che la pratica ha a che fare con la mia, personalissima, vita-morte, pure, sarà proprio quel mio che la pratica dissolverà. L'illuminazione - ammesso per un attimo che sia qualcosa -non potrà mai essere mia. Sarebbe come pensare che il cielo mi appartenga.
Da qui deriva, forse, la vera difficoltà nel praticare lo Zen. Non la postura, non il male alle gambe, non i pensieri galoppanti ma - ecco il punto - questo transitare pacificamente tra me-e-mondo e mondo-e-me, questo far confluire la vita (che è sempre singolare) nel vivere (che è sempre plurale). Non privilegiando né l'una e né l'altro.
Concludendo, per quanti si tengono abbarbicati a se stessi, la pratica risulterà impossibile; mentre per quanti prenderanno a giocare - come giocano le onde con l'oceano -, sarà quel che per noi è: una delizia! 
E siamo tornati ai pasticcini...

Vicenza, 1 Ottobre 2022
Salvatore Shogaku Sottile


Note
1. Con la medesima armonia trattiamo la relazione silenzio/parola. Tenendosi stretti al silenzio, parlare. In fin dei conti, anche qui, né l'uno e né l'altro. Pur essendo ovunque nell'Aperto, noi non siamo mai - non ristagniamo - da nessuna parte.  

Concentrazione

Ieri sera vi ho parlato di due aspetti della pratica di zazen strettamente connessi. Li riprendo, qui, affinché non si indugi a condurre il nostro sedere lì dove deve andare.

 

Parliamo della particolare forma di concentrazione che attuiamo in zazen, e di come questa sia influenzata e, infine, determinata, dal modo in cui teniamo gli occhi.

 

Spesso, come ho più volte ripetuto, vi vedo in zazen con gli occhi completamente chiusi. E, più volte, vi ho invitato ad abbandonare un tale atteggiamento. La postura degli occhi, difatti, è fondamentale nel determinare il tono di quel che avviene sedendo, tanto è vero che l'insegnamento proviene direttamente da  Dōgen, che ne parla nel suo Fukanzazengi: … Tenete sempre gli occhi aperti...  

 

Gli occhi completamente chiusi portano velocemente a precipitare nell'inconscio dove, la conseguente concentrazione, frutto dell'immobilità e del silenzio di corpo-mente-cuore, non potrà che assumere natura immersiva. In più, lo stato generale si farà torbido e potrà giungere il sonno. Tutte condizioni, queste, che non producono uno zazen come pratica di risveglio.

 

Più che all'immersione, il nostro sedere tende all'espansione; da cui la corretta concentrazione in zazen sarà espansiva e non immersiva; affinché questo si determini, gli occhi saranno socchiusi, la palpebra cala ma mai del tutto, in maniera tale da consentire alla luce di raggiungerci.

 

Questa espansione è, come ho detto ieri sera, quanto Bodhidharma chiama Vastità! E questa Vastità altro non è che Sunyata, la santa Vacuità!

 

Buona pratica a tutti.

 

Vicenza, 19 Agosto 2022
Salvatore Shogaku Sottile

La cura

Ieri sera, durante la seduta formale, ho detto così: Vi prego, prendetevi cura della vostra pratica; solo così la pratica si prenderà cura di voi.  Vorrei sviluppare questo spunto.

 

Se noi e la pratica non siamo divisi e se fluiamo con essa, non c'è pericolo di credere che prendersi cura della propria pratica sia dare spazio alla mente illusa. Prendersi cura della propria pratica è essere pratica, silenziosi, invisibili alle ragnatele dell'ego.

 

Se accade così, la pratica ci riconosce e perciò si prenderà cura di noi. Buddha si prenderà cura di noi. Buddha che - oh, meraviglia! - ha (e ha sempre avuto) la nostra stessa faccia.  Accade, allora, che lo spazio attorno a noi si espande all'infinito e il respiro scende nelle profondità di ogni corpo, incluso il nostro.  E questo, che si sappia oppure no, che si senta oppure no, questo è il satori. Inconscio. Inconosciuto. Universale.  Completo abbraccio che non lascia fuori niente. Ed ecco il così-com'è!

 

È questo il senso del nostro essere esatti in tutto ciò che facciamo, nello zendo come altrove; ogni nostra azione inizia, si svolge e si compie. Perfetta. Senza sbavi e senza inutili lentezze che darebbero spazio alla mente di formulare giudizi. Essere esatti così, di fatto, è prendersi cura. E subito dopo dimenticare. Altrimenti, ci resta il mondano così-come-viene e il tanto-per-fare. Ma così impediamo allo specchio del dharma di compiere la sua funzione e manchiamo il riconoscimento; e se questo accade non ci resta che vivere nella solitudine e nella paura. Che sono, esattamente, il paese natale dell'ego.

 

Buona pratica a tutti.

 

Vicenza, 22 Aprile 2022
Salvatore Shogaku Sottile

Cuore arreso

Se amiamo il mare, la cosa migliore da fare è essere mare. Noi invece, per solito, andiamo semplicemente al mare. E così, il mare, resterà sempre altra cosa per noi.
Che Kajo - Vita ordinaria, vita comune - provocasse inquietudini era facile prevederlo. È il problema di molti di voi; talmente molti che può capitare perfino di non accorgersene.
Come conciliare la vita comune e la Via? Una faccenda, è stare nell'ambiente protetto del dojo; un'altra, sentirla vibrare al lavoro, in famiglia, nelle relazioni con quanti, magari, non capiscono che ci facciamo lì immobili seduti dinnanzi ad un muro. Ma la questione che pone Dōgen è, semplicemente, che non c'è questa faccenda; c'è solo questo!
E questo è il mare, il grande oceano, che non si cura delle onde. È sempre è solo questo. È sempre e solo mare. A ben vedere, perciò, la soluzione di questo pseudo-enigma viene prima. E può essere detta così: allorché sto per immergermi nel grande oceano, io ci sono? Se sì, com'è di solito, non sono essere mare; sono un bagnante. E il mare non mi riconosce.

Perché mai credete che, in zazen, si continua a ripetere che occorre abbandonare-corpo-e-mente, Shinjin-datsuraku? Perché, altrimenti, zazen non ci riconoscerebbe. E se non ci riconosce, possiamo star lì a riscaldare un cuscino nero per l'eternità...
 
Mutando sguardo, e paradossalmente, diciamo che l'inizio della pratica della Via, in un modo che possiamo dire misterioso, avviene prima ancora di entrare per la prima volta in un dojo zen. Perché accade così? Perché (per il fatto stesso che  vi entreremo, in un dojo, e prima che ciò accada), siamo stati esposti sul pianoro dell'Aperto, senza neanche saperlo. Chi fa questo, quale forza ci espone nudi sul pianoro, non è da indagare. Chi fa questo, però, ha un nome: ecco bodaishin, la mente che cerca la Via. Che è sempre l'antefatto nascosto della nostra storia. Pratico, ma non so bene perché.
La mente che cerca la Via... Ma di che mente si tratta? Nient'altro che la mente della natura di Buddha che siamo. Questo è bodaishin! Se – ecco le ragioni misteriose – è sufficientemente potente, senza alcun merito da parte nostra, opera in silenzio e prepara le carte... Poi, tocca a noi fare il passo. Ed eccoci entrati per la prima volta in un dojo zen.
Tutto il resto della questione che vi interroga, la possibilità, o meno, di conciliare vita comune e pratica della Via, monachesimo o non monachesimo incluso, è un sofisticato alibi. Sul monachesimo, per esempio: ma qualcuno vi ha mai invitati a lasciare lavoro e famiglia per entrare in un monastero che, oltretutto, non abbiamo?
 
Praticate totalmente, fortemente e generosamente, con corpo-mente abbandonati e cuore arreso in ogni momento ed in ogni circostanza; con saggezza, calibrando le azioni ai contesti nei quali verrete a trovarvi. Direi, per esempio, che non è proprio necessario mettere in zazen il proprio capo ufficio.
Praticando così sarete voi stessi questo, e non ci sarà più alcun dubbio. La Via sarà la vostra vita e il dharma, tramite il nome che eventualmente avrete ricevuto, vi richiamerà a ciò.
Senza questo preliminare cuore arreso al dharma, dono di sé (da non intendesi in termini cristiani, poiché qui non c'è alcuno che decide di donarsi), la Via e la vita vi resteranno incomprensibili e inaccostabili. Senza questo, tutt'al più farete i bagnanti. Ma sono sicuro che non è quello che volete.
 

Trissino, 4 Marzo 2022
Salvatore Shogaku Sottile

KEIJI NISHITANI  

ovvero 

sul cavar sangue (di dharma) dalla rapa filosofica  

Riflessioni su alcuni snodi dell'opera di Keiji Nishitani "La religione e il nulla"

centro zen Vicenza

Non lasciare tracce

Nello zendo camminiamo a piedi nudi.

Questo vuol dire che a piedi nudi camminiamo nel mondo, giacché lo zendo non è (solo) lo zendo, ma la grande terra.

Perciò, vi prego, da oggi in poi ogniqualvolta farete ingresso nello zendo non fatelo pesanti di voi stessi; provatevi a non produrre alcun rumore in modo da non disturbare gli innumerevoli esseri che vi abitano; entrate volando, appena pochi centimetri da terra, e vedrete che vi riuscirà.

Io vedo un senso forte in tutto questo. Non è solo questione di sacralità del luogo dove sediamo in zazen, ma pungolo che va ancora più in profondità; tanto in profondità da essere erba tenera dei prati. Completamente esposta. Completamente offerta. Fuse.

Questo è, per quanti percorrono la Via, non lasciare tracce! Toccare appena il mondo, calcare lo zendo dolcemente e, subito, sparire. Leggeri come nuvole (unsui, emblema del monaco zen) passiamo carichi di pioggia e svaniamo. 

Non attaccatevi a niente; nemmeno allo zendo, nemmeno ai propri piedi, nemmeno alle nuvole. Solo così passeremo lasciando ombre fuggevoli sulla terra, ombre fragranti; solo così matureranno i rossi cachi dell'albero di Buddha. 

Buona pratica. 

Trissino, 4 Marzo 2021 

Salvatore Shogaku Sottile

centro zen Vicenza

Un asino che si crede coccodrillo

La liberazione del cuore (la pace, il risveglio, la felicità) non è mai un oggetto (fisico o mentale); e quando diciamo oggetto intendiamo anche formule magiche, mantra, riti, "pensieri positivi"; la liberazione del cuore non è mai il risultato di qualcosa; la liberazione del cuore è, esattamente, lasciar andare. Il cuore lascia ogni presa e, così, da se stesso, si libera.

 

Questa è la libertà; non dipendere da niente; avere il tesoro in casa. Questo è zazen.

 

Zazen non è un oggetto. Zazen è un processo. Perciò, avviandoci alla pratica di zazen andiamo verso il render vivo un processo che, esso stesso, è liberazione. Ecco perché zazen non finisce mai.

Se accettiamo questo quadro, dopo averlo verificato, ecco che viene il tempo che viene, adesso, poiché è adesso che abbiamo praticato il lasciar andare e gustato la libertà del cuore. Ecco perché non abbiamo mai bisogno di/del tempo, giacché abbiamo sperimentato che, adesso, non manchiamo di niente.

 

Se abbiamo verificato che cosi è, che il tesoro, la liberazione, la pace, sono qui, già qui, ecco rilucere che non pratichiamo zazen perché orfani, monchi, mancanti ma, al contrario, paradossalmente, rivoluzionariamente, pratichiamo poiché siamo Buddha.

 

Non potremmo, se no. Sarebbe come un asino che sognasse di diventare coccodrillo.

Vicenza, 20 Settembre 2020

Salvatore Shogaku Sottile

zazen Vicenza

Zazen ed il mare

Avete mai fatto caso a come sfumano i contorni corporei una volta che si è in acqua? Immersi, nella corretta postura del lasciar essere, altrimenti si annega, svaporiamo un po', essendo tutt'uno con l'acqua che solo allora sostiene, e possiamo godercela.
Questa è un'ottima immagine della nostra pratica, del nostro zazen. 
Anche in zazen tendiamo a sfumare, si fa fatica a sapere con esattezza dove sia la gamba destra o l'altra, le braccia, ci sono ancora?, perdiamo insomma i contorni e, anche lì, come già in acqua, siamo non-due col vivere.
Nella corretta postura il mare ci tiene; ed è quel che accade in zazen; seduti nel lasciar andare, nel lasciar essere, la vita ci tiene. Questo può accadere, in un caso come nell'altro, perché nella realtà  vera, profonda, non siamo mai (solo) noi, bensì non altra cosa dal mare, non altra cosa dal vivere. 
Solo così, nell'un caso come nell'altro, possiamo godercela.
 

 Vicenza, 17 Agosto 2020
Salvatore Shogaku Sottile

zazen centro zen vicenza