Approfondimenti
Una serie di contributi offerti nella consapevolezza che la libera condivisione di quanto maturato nella pratica individuale e collettiva costituisce alimento e stimolo al cammino di tutti.
Riflessioni
Temi di studio, commenti a testi della tradizione, problemi e questioni della pratica e dell'insegnamento, documenti da scaricare liberamente.
Haiku
Componimenti poetici di stile giapponese formulati secondo lo schema tradizionale di 5/7/5 sillabe dai praticanti del Centro.
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Immagini della pratica del Centro.
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Indicazioni di lettura sullo Zen e tradizioni spirituali affini.
Riflessioni
Kosmoszen
Manifesto per un riassetto delle cose spirituali
Vorremmo proporre un punto e a capo nello stato delle cose della nostra pratica spirituale. Dove, il punto, potrebbe essere rappresentato da questo precisa accezione di spirito: kosmos, al modo della lingua greca, ovvero cosmo e l’ordine che lo tiene. Mentre l’a-capo, sarà sicuramente quel senso di ricominciamento da cui il senso di manifesto di questo scritto.
Per evitare inutili equivoci o pettegole critiche, diciamo subito che dalle riflessioni che seguiranno non discende alcuna idea di insufficienza della nostra pratica. Non si studia il dharma, anche alla maniera nella quale lo si studia qui, perché manchi qualcosa al dharma, ma affinché l'uomo e la donna che oggi, nelle nostre terre d'Occidente, lo incarnano, si sentano situati e consapevoli. Ribadiamo con forza il rigetto dell'idea che lo Zen sia una cosa d'Oriente che cerchiamo di fare nostra, perlopiù scimmiottandola. Ecco perché, in queste pagine, si affrontano temi quali il Cristanesimo e la filosofia greca.
Quando diciamo pratica spirituale non parliamo di una parte di noi, una fetta del nostro vivere, quanto di tutto il nostro vivere - che appunto cosmo - e - inscindibilmente insieme - dell’armonia e bellezza di questo vivere stesso - che appunto è l’ordine che lo tiene -. Non, perciò, uno spirito a cui farà da contrappeso un corpo, quanto la piena armonia di un essere che, proprio perché così intimamente kosmos, - cosmo e ordine - è ciò che è.
Prendendo a modello uno degli infiniti esseri che fanno questo kosmos, l’essere umano, eccolo unità di processi fisici e non fisici, battito cardiaco e processi mentali, corpo-mente-cuore. Nessun dualismo, dunque, nessuna contrapposizione, poiché niente nei processi vitali è contrapposto ad alcunché. La vita è fluida ed ha una sola legge: tutto cambia. E in questo tutto che cambia ogni cosa trova il proprio equilibrio.
Proveniamo dal continente buddhista, dalla casa Zen, e la convinzione a cui sempre più perveniamo è che non vi è garanzia alla sincerità del cammino di ognuno; figurarsi a cercarla affidandosi alla sola venerabilità della tradizione! Niente da dire sulla tradizione in quanto tale, a patto che sia quello che è: narrazione storica per intendere quel che è avvenuto.
Niente di più e niente di meno. Ad un fiore che si voglia far attecchire nel nostro giardino, pur essendo quello che la propria linea di tradizione l’ha fatto, interessa poco sapere quanto - su quelle determinate montagne o splendide valli - era rigoglioso; o il kosmos rappresentato dal nostro giardino verifica tutte le condizioni necessarie a quella esistenza, oppure il nostro fiore dovrà modificarsi per non morire. Si chiama incubazione; si chiama attecchimento; si chiama dar vita ai morti (nota1).
Ora questo fiore chiamato buddhismo zen è giunto nel nostro giardino.
Sono almeno cinquant’anni che vi è giunto. Ed ecco che, per lo più, non si sa bene ancora che farne tranne che la cosa più semplice ma, a noi sembra, più inattuale e inefficace: continuare come se niente fosse con le tradizioni di provenienza!
Pure, ogni storia culturale e spirituale è lì per dirci che, forse, c’è una riflessione da compiere. Nel cristianesimo, per esempio, è stata necessaria la mirabolante opera paolina affinché divenisse poco percepibile la matrice ebraica del messaggio evangelico; e, per quanto riguarda il solco che ci interessa, quello Zen, è del tutto assodato l’originale innesto - sul corpo del buddhismo indiano - di tesi taoiste (nota 2).
È perciò solo a causa della pervicace miopia degli uomini che, oggi, non si ha percezione nettissima del fatto che se siamo qua a parlare di Zen è proprio perché quegli uomini in Cina non fecero - come fin qui noi - finta di niente!
Diciamo meglio. Ci pare evidente e perfettamente in luce come, nei confronti delle tradizioni di provenienza di ogni insegnamento, sia solo in modo assai superficiale applicabile il quesito continuità o rottura; dovendosi piuttosto mettersi in esercizio l’applicabile continuità e rottura.
Il primo approccio, difatti, che stiamo vedendo immobilizzare non pochi centri di pratica a partire dai loro insegnanti, è per sua natura di matrice concettuale e di ordine moralistico, in quanto mette in scena l’ipotesi di una scelta che, di per se stessa, escluderebbe l’altra (nota 3); il secondo approccio è, invece, frutto sperimentale della nostra vita e opere. Ciò vorrà dire, per noi, che a partire dal fuoco vivo della pratica dello zazen, non trascureremo l’aspetto della continuità studiando ed investigando opere e pensiero dei patriarchi ma, pure e necessariamente, opereremo sul versante della rottura per tutto quanto concernerà le modalità fattuali dell’apprendimento, fino al senso da dare alla figura del maestro e della trasmissione.
Ci sembra di poter applicare, a questo nostro sforzo, che da qui fa il suo primo passo, un’opportuna metafora attribuita all’insegnamento di Buddha Sakyamuni. Si tratta della candela che ne accende un’altra.
Ebbene: come si applica qui il nesso continuità/rottura? Non si potrà argomentare che si rifiuta l’aspetto tradizionale poiché è ciò che accende la seconda candela ma, neanche, che indifferentemente si continua come se ciò che arde ora non fosse un’altra candela. Ecco, dipenderà dalla cera di questa seconda candela - che siamo noi e il kosmos d’occidente dove la luce tenta d’illuminare - la sorte dell’insegnamento.
Ma ricominciamo dagli inizi. Dallo sbalorditivo incipit di Giovanni:
In principio era il Lògos, il Lògos era presso Dio e il Lògos era Dio. (Gv 1,1-18)
Era percezione chiara dei Padri della Chiesa come il lògos giovanneo in nulla differisse da quello proclamato da Eraclito (VI-V), il filosofo di Efeso.
Efeso in cui, secondo la tradizione, proprio fu redatto quel vangelo che da allora sarà detto di Giovanni.
Pensiero greco presocratico ed avvio della predicazione cristiana, dunque: torna, difatti, e in modo clamoroso, l’identificazione in Meister Eckhart, il maestro domenicano che tanti problemi avrà con la gerarchia ecclesiastica. Dice Eckhart in un suo sermone a proposito di Eraclito:
Uno dei nostri più antichi maestri, che trovò la verità molto tempo prima della nascita di Dio, prima che sorgesse la fede cristiana (nota 4). La verità è dunque nata in terra greca e parla così:
Per chi ascolta non me, bensì l’espressione [il Logos], sapienza è riconoscere che tutte le cose sono una sola (nota 5).
È nostra impressione come, oggi, a duemila anni dall’inizio dell’avventura cristiana e duemilacinquecento da quelle parole greche, sia possibile ricominciare da lì svolgendole con il pettine buddhista.
A partire dal pensiero eracliteo, difatti, ci sembra di cogliere l’identica opportunità che fu dei cinesi dell’epoca del Chan; lì la connessione dovette farsi con le profondità taoiste, qui, oggi, necessariamente con quelle greche. Non ne vediamo altre, del resto.
Scrive Luciano Mazzocchi, missionario saveriano animatore di una comunità di dialogo Vangelo-Zen, a proposito dell’incipit giovanneo:
.. fu un gesto di audacia inaudita quello di scrivere una pagina così, in quei tempi e in quell’ambiente! Certamente fu lo stupore di una sintesi lungamente ricercata e inalmente intravista, a suscitare in Giovanni l’audacia di identificare il logos della filosofia greca, verbum in lingua latina, con la persona e la vicenda umana di Gesù di Nazaret. ‘In principio era il verbo, e il Verbo era presso dio e il Verbo era Dio..’ Se oggi questa affermazione non fa trasalire dallo stupore anche noi, è solo conseguenza dell’abitudine.
…
Giovanni, il redattore del quarto Vangelo, era salito molto in alto nella comprensione delle ultime prospettive dell’esistenza. Da quell’altezza poté osservare che la domanda di fondo della religiosità biblica e quella della filosofia greca coincidono (nota 6).
Se, da un lato, è pacifica l’appropriazione da parte degli evangelisti cristiani delle speculazioni greche, resta da capire meglio cosa fa, del pensiero del logos, un orto così fecondo tanto da far nascere il sospetto che, anche col buddhismo-zen, da lì si debba ripartire.
La parola greca ‘logos’ significa ‘discorso’, ‘pensiero’, ma in Eraclito essa assume il significato di ‘ragione’, nel duplice senso presente anche nella lingua italiana: motivo profondo per cui qualcosa avviene (la ‘ragione’ di un fatto) e facoltà di comprensione da parte dell’uomo (nota 7). L’etimologia rimanda, come nel latino lego, al raccogliere elementi altrimenti dispersi. Ebbene il nostro intendimento del sanscrito Dharma, non è poi altra cosa. Da uno qualunque dei nostri testi, trovo la seguente definizione di Dharma:
Letteralmente: “ciò che sostiene”. La legge cosmica. L’Ordine universale; per estensione la Dottrina del Buddha che la predica agli uomini. Il Buddha è lui stesso una emanazione del Dharma. Al plurale e senza la maiuscola iniziale, i dharma designano gli elementi costitutivi dei fenomeni materiali e fisici, sottomessi a questo ordine e percepiti come distinti dalla mente (nota 8).
Dove ciò che s’impone è l’equivalenza semantica tra Logos come motivo profondo per cui qualcosa avviene (la ‘ragione’ di un fatto) e Dharma come legge cosmica, ordine universale. Insomma stiamo parlando della stessa radice!
Altrove e in altro momento presenteremo meglio questa che a noi appare a tutti gli effetti una rifondazione del nostro praticare il dharma in Occidente. Una cosa va però detta subito: siamo molto sensibili a quella prospettiva espressa così da Doghen:
Inverare le cose mettendo avanti se stesso: questa è illusione; partendo dalle cose inverare se stesso: questo è il risveglio (nota 9).
Vogliamo dire che non avvertiamo quanto presentiamo qui per una pubblica riflessione come il frutto di un sensazionalismo individuale quanto, e piuttosto, come il sofferto maturato delle cose, cose alle quali o ci si riconosce adeguati, oppure il buddhismo - che ha una fondante similitudine con la buona medicina che guarisce (cosa già in Epicuro ed il suo tetrafarmaco) o con la zattera che traghetta -, perde d’efficacia.
Vicenza 1999/riveduto 2016
Shogaku Hakuho (Salvatore Sottile), monaco del Centro Zen di Vicenza
Note:
1. È quanto dice, Stephen Batchelor così: ..come occidentale, mi rendo conto di aver portato nel buddhismo una prospettiva storica. Il testo si legge con profitto in Dharma-Trimestrale di buddhismo per la pratica e per il dialogo, Anno I numero 1, Ottobre 1999
2. Nel 520 d.C., all’arrivo di Bodhidharma (circa 470-543) in Cina, considerato il primo patriarca di ciò che diventerà lo Zen, il buddhismo era studiato e praticato da oltre quattrocento anni. Pure, solo con Hui-Neng, Eno (638-713), sesto patriarca, l’insegnamento attecchì rigoglioso.
3. E qui è tristemente in opera l’amnesia nei confronti, per esempio, della dialettica coincidenza dei contrari propria di Eraclito. Il nesso amo o non amo appartiene difatti a quel che questa coincidenza è divenuta nella storia cristiana, ad eccezione dell’esperienza dei mistici che, difatti, a procurar scandalo, a tutte le latitudini ha rimesso in scena proprio quella coincidenza. È del resto la nostra stessa esperienza esistenziale a suggerici che, in effetti, amo e non amo.
4. Meister Eckhart, Prediche, Mondadori, Milano 1995, pp.11-15
5. Giorgio Colli, La sapienza greca – vol.III- Erclito, Adelphi, Milano 1980, p. 21
6. Luciano Mazzocchi in La stella del mattino, opuscolo della Comunità “Vangelo e Zen”, 16.11.99/15.01.2000
7. Marco Vannini, Il volto del dio nascosto, Mondadori, Milano 1999, p.45
8. Jacques Brosse, I maestri zen, Edizioni Borla, Roma 1999, p. 200
9. Giuseppe Jiso Forzani, Eihei Doghen, Il profeta dello Zen, Centro editoriale dehoniano, Bologna 1997, p.56
Epicuro di Samo
Epicuro di Samo, maestro zen.
di Salvatore Shogaku Sottile
Vicenza, Aprile 1999
Riveduto Gennaio 2016
... il tempo di Epicuro è straordinariamente simile al nostro; e l’epicureismo si chiama oggi buddhismo.
(Innocenti, Epicuro, La Nuova Italia)
Della scienza della natura non avremmo bisogno, se sospetto e timore delle cose dei cieli non ci turbassero, e non temessimo che la morte possa essere per noi qualcosa, e non ci nuocesse il non conoscere i limiti dei dolori e dei desideri
(Massime capitali, XI)
Epicuro all’amico Idomeneo:
Era il giorno beato e insieme l’ultimo della mia vita quando ti scrivevo questa lettera. I dolori alla vescica e dei visceri erano tali da non poter essere maggiori; eppure a tutte queste cose si opponeva la gioia dell’anima per il ricordo dei nostri passati ragionamenti filosofici. Tu ora, come si conviene alla tua buona disposizione, fin da giovinetto, verso me e la filosofia, abbi cura dei figli di Metrodoro.
(Diogene Laertio, Vita Epic., 15)
Notizie
Epicuro nasce, a Samo, nel 341 a. C.
Platone è morto da sei anni e Aristotele ha da poco superato i quaranta anni.
Ventitré secoli ci separano dalla nascita di quest’uomo mite che con la sua dottrina influenzò non solo la sua Grecia ma - e in modo non superficiale - s’insinuò fin dentro il cuore stesso dell’impero di Roma.
Quando Epicuro fonda la sua scuola, ad Atene, nel 306 a. C., Atene non è più la stessa. Non è più la stessa l’intera Grecia, a dire il vero, tanto che guarnigioni straniere - i luogotenenti di Alessandro, morto nel 323 - son lì per disputarsi ferocemente il suo impero (nota1).
Se questo è il contesto storico e politico cui, necessariamente, Epicuro corrispose (nota2) qualcosa è necessario dire sulla diffusione che ebbe l’epicureismo, senza la quale poco si capirebbe dell’ostracismo che gli fu opposto.
Scrive Angelo Maria Pellegrino, lapidario: Un pensiero che, contrariamente a tanti altri, non ha mai fatto e non può fare male a nessuno… Uno fra i pensatori più amati e odiati di tutti i tempi, senz’altro il più mistificato, equivocato, vilipeso, il cui pensiero è come un incubo nella storia del cristianesimo (nota3).
L’epicureismo si diffuse in tutto il bacino del mediterraneo… diffondendo la cultura da Atene al mondo antico, coi nuovi e più fiorenti centri di Pergamo, Antiochia, Rodi, Alessandria…
Ma fu soprattutto Roma a esserne conquistata.
L’epicureismo vi fu conosciuto probabilmente quando il suo fondatore era ancora vivo, ma è soprattutto nel I secolo a. C. che si diffonde tra i Latini… Nelle opere in cui Cicerone tratta di problemi connessi con la filosofia, si trovano continui riferimenti all’epicureismo che testimoniano l’importanza che tale dottrina doveva avere in quel tempo.
Ed è proprio l’epicureismo che dà vita ad una delle più belle opere della lingua latina, il De rerum natura di Lucrezio (nota 4).
Epicuro muore nel 270 a. C., all’età di settantuno anni. E muore, come abbiamo detto, chiamando quel suo ultimo giorno, questo giorno beato.
Ecco cosa scrive Diogene Laertio per l’occasione: ... Morì di calcoli renali dopo quattordici giorni di malattia, come scrive Ermarco nelle lettere. Ermippo riferisce che Epicuro in punto di morte, entrato in una tinozza di bronzo piena di acqua calda, chiese del vino puro e lo bevve d’un fiato.
Dopo aver raccomandato agli amici di non dimenticare il suo pensiero spirò.
I. Una nobile coincidenza
L’idea che mi dirige è la seguente: mettere in circolo il nostro essere greci (filosoficamente parlando) e praticanti del Dharma insieme, indagando una dottrina - quella epicurea - che presenta forti analogie con quella Zen.
NOTE
1. Le conquiste di Alessandro e le successive guerre dei Diàdochi sconvolgono il mondo. Le piccole città greche non possono più nutrire alcuna speranza di grandezza, avendo perduto, con l’autonomia, il diritto di decidere della pace o della guerra.. Nell’Atene del V e IV secolo, ogni cittadino, in un certo senso, era principe… Però, da Cassandro, e soprattutto da Antigono II in poi, la Grecia ha ormai un solo padrone. A.J. Festugière, Epicuro e gli dèi, Coliseum 1987, pag. 2.
2. Colui che vuole essere indipendente dagli uomini e dalla Fortuna deve imparare a badare a sé stesso. Il saggio del III secolo è un essere che “basta a sé stesso” (autàrkes)… Al di là della scuola di appartenenza, Cinismo, Stoà o Giardino, questi sono i tratti comuni ai saggi ellenistici. A.J. Festugière, Epicuro e gli dèi, Coliseum 1987, pag. 4.
3. A cura di Angelo Maria Pellegrino, Epicuro, Lettera sulla felicità, Stampa Alternativa, 1992
4. Jean Brun, Epicuro, Xenia, 1996, p.20-21
Haiku
Inverno
Pianta da frutto,
gelo sui tuoi rami,
gemma riposa.
Nube dorata,
in piena fioritura
un calicanto.
Cambio di scena,
biancore improvviso.
Solitudine.
Terra che dorme,
pulviscolo d’acqua.
Volo radente.
Tuoni di vento,
era notte d’inverno.
Cuore fermo: Ah!
E' capodanno!
Lumina falce luna.
Chiama i morti.
Ramo vermiglio, bordato di bianco.
Sembri festoso.
Anno che viene,
cuore vecchio di un anno.
Oh! Meglio di no.
Duemila e 12!
Agli svitati del dojo
il mio inchino.
Io e le stelle.
A Gorgia un buon anno,
e poi, dormire.
Alto sul ramo,
solo, canta felice
il cucabarra.
Di domenica,
il Sole ventiquattro
ore, io compro..
Primavera
Fan capolino
di lato al cancello,
timide viole.
Boccioli rosa
inondati di luce.
Vento li scuote.
Fronde e voci
nell’albero verde.
Unico suono.
Giro intorno,
seduto sui miei passi.
Eppure chiaro.
Foglie e fiori
ha messo questa notte
l’antico pero.
Petali rosa
alla brezza del mattino
sparge il pesco.
Antro melmoso,
mi lascio sprofondare.
Gesto audace.
Sulla scarpata,
il vento accarezza
gialle primule.
Alba annuncia
variopinta natura.
Unico colore.
Riva di fiume.
Su ogni filo d’erba
gemma lucente.
Nube rosata,
un pruno è fiorito
questa mattina.
Estate
Raggio lucente
spaccato di nuvole
subito chiuso.
Gioco di bimbo
quaderno ormai scritto:
cancella tutto.
Alti nel cielo
aironi in volo.
Vita che vive.
Vola leggera
tra papaveri rossi
bianca farfalla.
In questo stagno
tra acque limacciose
fiori di loto.
Caldo torrido
trenta gradi all’ombra.
Cola sudore..
Autunno
Umida nebbia
avvolge ogni cosa.
Prendi la mano.
Brina tra i rami.
Mi osserva furtivo
un pettirosso.
Dopo la pioggia,
timido vento accarezza
pallide foglie.
Gocce di pioggia
chiacchierano felici
sulla macchina.
Brina sui tetti.
Spazi addormentati,
freddo intenso.
Colore tenue,
orizzonte velato,
luci accese.
Senza tempo
Acqua che bolle,
fruscio sul tatami.
Cuore che piange.
E dopo zazen,
un bicchiere di vino.
Notte attesa.
Passo col verde?
Incrocio solo gambe?
Rivoluzione!
Teo nella terra
sogna rudi carezze.
Tendo la mano.
Suona campana.
Alleluia era un uomo,
suona campana.
Passi leggeri
in spazi naturali.
Senza parole.
Senza tempo
Teo tra le foglie
guarda Gorgia, lo chiama:
ti faccio strada.
Incenso brucia,
nella mente di Buddha.
Chiamo mio padre!
Brindo al giorno,
galleggiano sogni. Oh!
Falco già vola.
Stolti commenti.
Ma saggia pazienza,
asino insegna.
Note di sax su
vetri opachi di freddo
Calda musica.
Lacrime cera
domani saranno le
candele rosse.
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