MUSO MUNEN
Centro Zen Vicenza
Centro di meditazione e pratica Zen
Lo Zen
Lo Zen, come lo pratichiamo qui, non è religione, filosofia, preveggenza, tarocchi, gruppo di autoaiuto, ecc., ma vita vissuta. Vita condivisa.
Come alberi stiamo in piedi da soli, e come alberi godiamo di essere foresta.
Si tratta di una lunga storia. Inizia in India, con Shakyamuni Buddha, e si forma in Cina, intorno al 520 d.C., con Bodhidharma. Poi, dalla Cina al Giappone e, da questi, intorno agli anni sessanta del secolo scorso, arriva a noi.
In questo lungo cammino lo Zen si è sfrondato di tutto il superfluo, mantenendo intatto il nucleo, il cuore pulsante, quello che noi chiamiamo “sedere tranquillo”.
Cosa sia questo sedere è l’evidenza meglio custodita, il segreto esposto, il perno attorno al quale ruota l’intero addestramento.
«Ma cosa cercate sedendo immobili davanti ad un muro?» Così, spesso, ci viene chiesto.
All’inizio sembra davvero che cerchiamo qualcosa (illuminazione, saggezza, felicità...), ma non passa molto che scopriamo che non abbiamo mai perso alcunché.
Questa evidenza ci mette a nostro agio e ci fa fare un passo in più. Sedendo tranquilli, senza forzare, senza cercare, senza desiderare, scopriamo che non c’è fine alla consapevolezza che, così come siamo, siamo il mondo, vibriamo in ogni esistenza, facciamo viva la vita. Siamo eterni.
Il Centro Zen di Vicenza si propone come luogo accogliente per quanti siano alla ricerca di un modo diverso di porsi nei confronti della vita.
Sedere tranquillo allena a rimanere se stessi e, nello stesso tempo, ad essere in sintonia con gli altri e con tutti gli esseri.
A questa attività, di volta in volta, aggiungiamo lo studio dei nostri patriarchi e di quanti hanno trattato medesime problematiche riassumibili in questo modo: se gli uomini non fossero illusi, perché mai farebbero domande su qualcosa che gli sta proprio davanti?
Il Centro
"Se non riesci a trovare la verità là dove sei, in quale altro luogo speri di trovarla?"
DŌGEN-ZENJI
Si può decidere di voler incontrare lo Zen per i più vari motivi; perlopiù per un sotterraneo senso di insoddisfazione accompagnato da qualche lettura. La vita non è facile e, nelle sue strettoie, qualcuno ci dice che la meditazione aiuterebbe. E’ quel che accade di solito. Ed è così che si arriva in un centro Zen. Si arriva con tante domande e ancora più aspettative; e ci si accorge subito che, oltre alle scarpe, occorre lasciare fuori dalla sala di meditazione anche altro.
Quello che la meditazione può innescare, nel silenzio, è di avviare il processo che permette di incontrare se stessi. La radice di se stessi. E’ così che ogni insoddisfazione risplende nella sua giusta luce e ogni domanda evapora. E' lì che risiede la pace, che nasce la gioia, che gli occhi vedono, per la prima volta, il mondo com’è.
Zendoccidente
La nostra storia
Il Centro Zen di Vicenza si costituisce, quale sede provinciale, a metà degli anni '90 ad opera di un gruppo di fondatori e anziani praticanti formatisi nella tradizione Soto Zen trasmessa in Italia dagli allievi del maestro Taisen Deshimaru. Per un ventennio, a partire dalla fine degli anni '80, il Centro nelle sue diverse sedi, ha fatto riferimento al Centro Studi Zen Komjo-Ji di Fortunago (PV), da cui si è reso indipendente nel 2009.
A partire da tale data, l'insegnamento del Centro ha assunto la fisionomia attuale attraverso la proposta di un tentativo di Zen d'Occidente.
L'esperimento di uno Zen occidentale
Perché, oggi, nell’Occidente del terzo millennio, questa materia mobile che è l'indagine del cuore dell’uomo non può prendere un proprio profilo?
Alla luce di questa intuizione si struttura l'attività più recente del Centro Zen di Vicenza nel tentativo di dar vita ad uno Zen che cerchi di integrare l’impronta tradizionale per dar corso alla verifica sul terreno di come e se questa nuova pianta possa attecchire in Occidente, consapevoli che, se non riconoscerà un profilo proprio, lo Zen si voterà ad una perfetta ininfluenza e finirà, esoticamente, come i culti orientali della Roma imperiale.
Uno zen d'Occidente: qui sta la scommessa.
Il dojo MU SO MU NEN
Nel corso della sesshin invernale del 2018, svoltasi in occasione della ricorrenza della notte dell'illuminazione del Buddha (8 dicembre), il dojo di pratica del Centro Zen di Vicenza è stato ribattezzato con il nome di MU SO MU NEN " Senza forma/senza pensiero".
Il sangha
L'attuale comunità (sangha) che anima il Centro Zen è costituita da un gruppo di praticanti anziani, tra cui un monaco, ed altri più recenti che proseguono la tradizione della meditazione seduta (zazen) insegnata da Bodhidharma e dal fondatore della Scuola Soto Zen, Dōghen-Zenji. Insieme condividono la paziente opera di studio, riflessione e confronto, facendosi anche carico di portare avanti la trasmissione del dharma col mettere la propria esperienza a disposizione di tutti coloro che desiderino percorrere questa via con coraggio, tenacia e sincerità.
Il segreto dello Zen
Un monaco chiese a Ts’ui-wei quale fosse il significato del buddhismo.
Rispose Ts’ui-wei:
“Aspetta che non ci sia nessuno vicino e te lo dirò".
Qualche tempo dopo il monaco tornò da Ts’ui-wei e gli disse:
“Adesso non c’è nessuno. Ti prego di rispondermi”.
Ts’ui-wei lo condusse in giardino e andò fino al boschetto di bambù, senza parlare.
Siccome il monaco continuava a non capire, alla fine Ts’ui-wei disse:
“Qui c’è un bambù alto; lì ce n’è uno corto!”
L'INSEGNANTE
Il maestro invisibile
Ogni tanto, con qualcuno di voi (i più coraggiosi?) capita di intessere discussioni che alla fine si rivelano essere interessanti per tutto il sangha.
È successo di recente a proposito del maestro invisibile. È ancora successo a proposito della perseveranza nella pratica.
Nel caso del maestro invisibile (lo dico per quanti quella sera non erano presenti al dojo), il tema trattato riguardava la relazione maestro/discepolo, così come è vissuta nella nostra pratica; nel caso della perseveranza, invece, la questione nasceva da una domanda che, prima o poi, tutti quelli che frequentano un dojo si fanno. E la domanda è: ma che fine hanno fatto quelle frotte di praticanti di lungo corso che hanno dato vita a esperienze ventennali?
Sul maestro invisibile, grosso modo, ho detto così: la nostra è una pratica viva e vivente, non fondata su autorità, dèi o testi sacri; e viva e vivente, qui, vuole dire che tra chi quella via la percorre nasce sempre una relazione, si spera anch'essa viva e vivente. È come andare in montagna. Si scala insieme a qualcuno che quel cammino intraprende da tempo e, se si è appena arrivati alla pratica, naturalmente accade che l'anziano diventi una guida. Poi, come è necessario, si scala con le proprie gambe ed il proprio cuore, in modo sempre singolare ed unico. Purtuttavia, si va insieme. Ed ecco il sangha. Evitare la relazione semplicemente significa evitare di andare insieme, né più, né meno. La nostra, difatti, non è una pratica da asceti solitari. E, forse, qui sta quel coraggio di cui ha trattato una di voi. Perché? Forse perché qualche praticante, per propria storia personale o psicologica, trova difficile la relazione con la guida, e perciò decide di restare in ombra. Resta indietro. Ma così non si scala. E il maestro invisibile? È la parte più delicata e allo stesso tempo più esaltante. Giacché, al di là della necessaria presenza fenomenica della guida, il punto di fuoco verso il quale indirizzare la freccia della relazione è quel maestro invisibile che alberga nella guida ma che lo eccede. E questa eccedenza, che a volte chiamiamo buddha, passa attraverso la guida ma non è la guida. Solo così, come è attestato assai comunemente nelle relazioni maestro/discepolo della nostra tradizione (emblematici sono i casi di Dainin Katagiri Roshi e Shunryu Suzuki Roshi) si può continuare a praticare pur in presenza di maestri impossibili (e i maestri, detto per inciso, sono sempre impossibili). Ed ecco la perseveranza!
Qui, la questione si è snodata attraverso pochi ma essenziali passaggi. Che io, a partire dal primo nucleo di domande, ho voluto allargare per ampliarne la visione:
- Perché tanti praticanti, magari dopo vent'anni di pratica, scompaiono? Che fine hanno fatto tutti costoro? È possibile che, anche dopo anni e una buona esperienza di pratica, scompaiono tutti? È la norma o è un’eccezione?
Perseverare sulla Via è il vero snodo. E perseverare è il tempo di una vita... Poi, poi è il dharma che decide, vale a dire insieme, maestro e discepoli. Vorrei dirvi risentiamoci fra dieci anni, come minimo.
Nella furia intellettuale degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, Roland Barthes è stato uno dei miei tanti amici. E lui amava ripetere: ”Perché durare sarebbe meglio che bruciare?”, ponendo il tutto come contrapposizione. Oggi mi è chiaro come i due termini siano sinonimi. Durare è bruciare. Altrimenti non è neanche durare, non è neanche bruciare…
- Quindi bruciare per durare, per non tirare a campare? Ma, al di là della relazione/opposizione tra durare e bruciare, non c'è anche il portare frutti?
Portare frutti è bruciare completamente. Questo fuoco si propaga, senza necessità di pensiero e calcolo. Questo è dimenticarsi. Questa è la trasmissione. Shin jin datsu raku (lasciar cadere corpo e mente. Dōgen) è bruciare. E se si brucia bene il fuoco si propaga da sé. Ecco allora la foresta del sangha illuminare il mondo.
Trissino 1 Marzo 2021
Salvatore Shogaku Sottile
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Indirizzo
Associazione Areté - CENTRO ZEN Vicenza
Via Edmondo de Amicis 9/11
Vicenza 36100
Italy
Come arrivare
Arrivo in treno: Uscendo dalla stazione fs di Vicenza, si percorre a piedi il viale di sinistra, Viale Milano (600 m), fino ad arrivare alla rotatoria con Corso SS. Felice e Fortunato dove si prende a sinistra in direzione Verona.
Si continua quindi sempre dritti fino alla prima laterale a destra, Via dei Mille (400 m). Si svolta per quest'ultima, si percorrono 50 m, quindi a sinistra si prende Via N. Bixio, poi la seconda a destra Via de Amicis, dove al numero 9/11 ha sede il Centro Zen.
Orari di apertura
Martedì: 19.00-21.00
Mercoledì: 6.30-7.15
Giovedì: 19.00-21.00
Domenica: 8.00-9.00